Tremilasettecentodue
chilometri quadrati, il raggio d'azione. Seimilatrecentosettantuno
unità, il bacino di utenza. Cifre ragguardevoli -la superficie
della provincia di Bologna e il numero di studenti della scuola
dell'obbligo che vi gravitano- su cui le scuole superiori della
città felsinea hanno campo di intervento e con cui, al momento
delle iscrizioni, devono "fare i conti". Sì, perché
proprio di conti si tratta: triste a dirsi, ma anche le scuole,
pubbliche o private che siano, sulla innegabile equazione "più
studenti uguale più fondi", fanno affidamento. E per
accaparrarsi iscrizioni si piegano alle leggi del mercato. Così,
come se l'istruzione fosse un prodotto da grandi magazzini, la
scuola si mette in vendita. Ed è gara per essere più accattivante
e persuasiva, totalizzare vendite e conquistare clienti, mostrare e
apparire, promettere e, forse, non mantenere.
E allora sugli "scaffali"
l'offerta abbonda: a Bologna un ragazzo che si accinge a scegliere
gli studi superiori non ha due o tre possibilità, ma ben
sessantadue, tra licei (classico, scientifico e artistico) e
istituti tecnico-professionali, senza contare l'amplissima gamma di
indirizzi e sperimentazioni che ognuna a sua volta offre. Come se la
scuola si fosse moltiplicata e avesse puntato a creare corsi e
insegnamenti per ogni gusto ed esigenza proprio per riuscire a
competere e a conquistare fino all'ultima fetta di pubblico. Forse
dimenticando, però, che garantire una precisa coincidenza tra
preparazione degli studenti e ciò che li attende fuori dai muri
scolastici significa modulare l'offerta formativa sulla base
dell'evoluzione della società, del mondo del lavoro e dello
sviluppo delle tecnologie e non su altri interessi.
Comunque, a parte il dubbio, chi
più, chi meno, nessuno manca all'appello. Per attirare studenti
molti scelgono sistemi pubblicitari soft, vuoi per ragioni
economiche ("sai quanto costa il tipografo?"), vuoi per
questioni di principio ("la scuola è una cosa seria"),
vuoi per ragioni di opportunità ("non abbiamo bisogno di farci
pubblicità"). Altri invece convogliano effettivamente grandi
speranze nelle attività pubblicitarie e sul campo si lanciano con
investimenti nell'ordine di svariate migliaia di euro. Chi si affida
dunque semplicemente alle giornate di orientamento e ai volantini
con la pura indicazione dell'offerta formativa, chi invece a
tecniche persuasive collaudate in ambito pubblicitario. Dal depliant
informativo, inviato per posta alle famiglie o distribuito
direttamente ai ragazzi nelle giornate di apertura delle scuole al
pubblico, alle locandine esposte sugli autobus, nei supermercati o
nei luoghi pubblici. Dal semplice opuscolo realizzato
"artigianalmente" all'interno della scuola, ai manifesti
pubblicitari affissi sui muri della città. Dagli inserti sulle
pagine dei giornali locali, alla ricerca degli sponsor. Nessuno
rinuncia alla propria fetta di visibilità.
Nei casi di migliore adesione ai
sistemi pubblicitari, ecco scatenarsi gli slogan che sanno dove
andare a parare e, manco a dirsi, tirano in ballo il
"futuro", "l'Europa", la "tradizione",
la "modernità", il "progresso", il "multiculturale",
il "lavoro", la "crescita" e
"l'educazione". Tutte valide ragioni per indirizzare la
propria scelta in un senso o in un altro e che lanciano un unico
messaggio: "È questa la scuola che fa per te". Una scuola
che - stando a quanto viene professato- è
"all'avanguardia", "in continuo divenire",
"moderna", ma anche "tradizionale",
"qualificata", e "proiettata verso il futuro".
Le frasi d'effetto si sprecano e, corredate di immagini ricercate e
suggestive, ammiccano ai destinatari offrendo prospettive allettanti
e rassicuranti. Il tutto, nella maggior parte dei casi,
commissionato a grafici e professionisti del settore e, quindi,
sapientemente confezionato ad arte: eleganti cartoncini nei formati
più disparati, colori dosati con attenzione, caratteri scelti
accuratamente, immagini e messaggi disposti in correlazione così
che gli occhi dell'angelo de la "Vergine delle rocce" di
Leonardo rimandino al concetto di "futuro", le figure
austere dei fondatori in bianco e nero riportino a quello di
"tradizione", i volti dei ragazzi al lavoro si traducano
in "dinamismo".
Che anche la scuola sia "entrata
in orbita", dunque, e si sia messa nella giusta lunghezza
d'onda del tempo in cui vive? La sensazione è che fortunatamente
sia ancora lontana dal poter essere paragonata ad una azienda. Che
stia paradossalmente cercando di imparare a farlo (come una brava
alunna ligia al dovere), senza riuscirci affatto oppure
maldestramente e senza capire che è proprio questa la sua fortuna:
l'aver in sé un'incompatibilità di fondo con le fredde logiche di
mercato e invece un'anima ancora calda che difficilmente le farà
rinunciare ad essere luogo di crescita, di apprendimento e scambio,
somma di entusiasmi, di sentimenti e valori.
Michela Casadei
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