Una
monovolume grigia metallizzata sgomma sullo sterrato, sbanda due-tre
volte disegnando curve strette nella terra. Finestrini abbassati,
ragazzi coi capelli tinti. Si alza un gran polverone. Il pugile
guarda e commenta: “D’altronde siamo al Pilastro”. Simone
Rotolo, 28 anni, campione italiano e intercontinentale di
superwelter, a volte si allena anche nella palestra Le torri, di via
Ada Negri 2, nel quartiere bolognese dove si consumò la più famosa
strage compiuta dalla Uno bianca.
Un
pugile di 28 anni, Simone, un campione che il 28 maggio a Piacenza
dovrà difendere il titolo intercontinentale. Sarà l’ultimo
incontro, dice lui. Parla piano, delicato, ma si sente che c’è
amarezza nelle sue parole. Attorno a lui, ragazzotti che corrono in
macchina, finestrini abbassati e musica a tutto volume. Bazzicano
attorno alla palestra, ma non sono pugili, bighellonano tra il parco
e la strada a tempo perso. Simone tiene al guinzaglio un cane
marrone, una femmina di due anni che non smette di guaire: “Atena,
basta piangere, piangi sempre” dice lui con dolcezza. Magari non
vuole stare ferma… “No, è così, lei piange sempre”. Ma
quando lui l’accarezza lei smette.
Cosa
succede Simone? “Sono stufo. Stufo di prendere botte, di fare
fatica, di impegnarmi così tanto e di fare tutto questo per
niente”. In che termini niente? “Di soldi, di soddisfazioni. Ho
28 anni e non si guadagna gran che a fare il pugile, quello che
prendo io si può paragonare a quello che guadagna un operaio, solo
che il pugilato richiede molti sacrifici”. “I professionisti di
questo sport - lo conferma anche Paolo Pesci, ex campione oggi
tecnico della Sempre avanti alla palestra Le torri - non guadagnano
come i campioni delle altre discipline. Oggi poi si prende anche
meno di un tempo. Nel ’90, vincere il titolo di campione italiano
significava mettere in tasca 18 milioni, oggi, in proporzione, i
guadagni sono molto diminuiti”. Prima di diventare un campione a
tempo pieno, Simone faceva l’elettricista. Se dovesse smettere di
combattere sul ring dovrebbe ricominciare a fare quel lavoro.
Ti
accorgi adesso, Simone, che il pugilato è faticoso, che prendi
botte e che non fa diventare ricchi? “E’ che prima sogni, poi
cresci. E adesso io sono cresciuto, e se non vedo prospettive non
vado avanti”. Ma Simone ha perso un titolo e l’ha riconquistato,
perché adesso non ha la stessa grinta per uscire da questa crisi?
“Ci vuole altro, il 28 maggio difenderò il mio titolo, ma sono
stanco di questi incontri. Devono propormi altro, titoli più
grandi”.
Non
è una carriera facile quella del pugile professionista. “Quando
perdi sei fuori davvero”. E’ ancora Paolo Pesci, nel piccolo
ufficio della palestra a raccontare le difficoltà del mestiere.
Appesi alle pareti del corridoio stretto, i ritratti di vecchi
campioni, come Dante Canè, manifesti ingialliti di incontri di 10 o
15 anni fa. “Perdere un incontro di pugilato non è come perdere
una partita a tennis. Se perdi sei quello battuto e tornare campione
non è facile”.
Piano
piano arrivano altri ragazzi alla palestra. Qualche professionista,
come Tobia Loriga, 28 anni, figlio d’arte e a sua volta padre da
pochi giorni, e qualche altro che invece arriva direttamente dal
lavoro, con le scarpe antinfortunistiche ai piedi. Salutano da
lontano Simone e poi si fermano fuori a chiacchierare tra di loro
prima di andare a “fare i pugni”.
Cosa
c’è che non va nel pugilato? “Tutto. Al pugilato
manca tutto. Manca la gente, manca l’organizzazione, manca
tutto quello che potrebbe farlo tornare ad essere uno sport seguito.
E poi c’è chi specula” Chi? “I procuratori. Loro guadagnano.
Prendi 5 e 2 è per loro…”. Ma la Federazione? “La Federazione
non fa niente. E’ un corpo e basta, un’istituzione che ha
permesso che qualcuno mi sfidasse per il titolo italiano nello
stesso momento in cui devo difendere l’intercontinentale. Questo
significa che, poiché è impossibile prepararmi per entrambi, dovrò
lasciare quello italiano senza combattere”. Hai parlato con la
Federazione? “No. Ci ha parlato il mio procuratore”. Ci parlerai
direttamente? “Non lo so”. E con Rubini, il tuo allenatore di
sempre? “Con Rubini le cose non vanno bene. Mi ha trascurato. E’
vero, un tecnico deve seguire più di un pugile, ma non si può
trascurare un professionista che si deve preparare per seguire di più
i dilettanti”.
Una
speranza, Simone? “Che mi torni la voglia di anni fa”.
Federica Pezzali
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