Questo Cpt non è un albergo
Tra i tanti
avventori ha un solo vincitore. Il centro di permanenza temporanea
per immigrati di Modena, a soli 17 mesi di vita, è una creatura
perfetta: niente più fughe o atti di autolesionismo, aria
condizionata, satellite e pratino all’inglese. Ma a quanto pare
non piace più. Anche la sinistra locale, che lo ha fortemente
voluto, si è pronunciata per un “superamento” della struttura.
Con Modena fallisce un modello: quello dei Cpt piccoli e ben
organizzati, dove gli immigrati vengono trattati “umanamente”.
Se, infatti, in qualche cosa è efficace, il Cpt lo è
nell’importare clandestini che hanno commesso reati in altre città. Immigrati che nel 50% dei casi non riesce ad identificare
entro i 60 giorni previsti e, infine, rilascia nel territorio
modenese. E, mentre il centro rimane attivo succhiando più di 7
miliardi di vecchie lire l’anno alle casse dello Stato, in città
a trarne i meriti è ormai soltanto il nuovo questore che,
aumentandone la vigilanza, ha messo fine alle fughe e reso la
struttura sempre più simile ad un carcere.
Tra fughe,
lesioni e proteste di polizia: il Cpt modello della Turco-Napolitano
Nato per
mettere tutti d’accordo. Il Cpt di Modena, fiore all’occhiello
della Turco-Napolitano, è l’unico in Italia voluto da una giunta
di centro-sinistra e sollecitato da una raccolta di 19.000 firme.
Inaugurato nel novembre 2002, la storia del centro modenese ha un
inizio tormentato. Nei suoi primi mesi di vita le fughe (scalando il
tetto, scavando un buco attraverso il muro, approfittando di un
momento di disattenzione degli operatori o di una finestra aperta)
sono ben sei e coinvolgono una trentina di persone. La facilità di
fuga è dovuta alla carenza strutturale dell’edificio: si parla di
muri interni in carton gesso. Una svista non da poco se si pensa che
questo è l’unico Cpt in Italia che sorge all’interno di un
caseggiato costruito ex novo, costato 11.362.000 euro, che il
ministero ripaga annualmente con un canone d’affitto all’impresa
costruttrice (la carpigiana Società Forte, la stessa che ha
costruito la nuova sede della questura).
Ma per le fughe
il questore Benedetto Pansini parla anche di “negligenze da parte
della vigilanza”. Ed è per questo che al momento del suo
insediamento, il primo agosto scorso, Pansini mette come primo tema
in agenda quello del Cpt. “Al momento del mio arrivo a Modena –
spiega – ho trovato una situazione di sfacelo”. Oltre alle
fughe, l’altro problema si chiama autolesionismo. Tra gli ospiti
del centro tagli, ingestione di pile, scioperi della fame
(l’ultimo risale a marzo di quest’anno, però) sono all’ordine
del giorno. Fino a settembre 2003, su 345 clandestini che hanno
varcato le porte del centro, ben 91 sono i casi di lesioni
autoinflitte.
Inoltre, sono
frequenti le proteste del Siulp, il sindacato di polizia, che
denuncia l’insicurezza delle condizioni di lavoro e
l’insufficienza numerica del personale. Pansini decide di operare,
quindi, ad una ristrutturazione dell’immobile e ad una
riorganizzazione totale della sorveglianza. Ora il rapporto tra
poliziotti e trattenuti è quasi di uno a uno (55 guardie che
sorvegliano 60 persone). I loro turni sono più organizzati e,
soprattutto, chi è in servizio al Cpt fa solo quello, non esce con
la mobile o altro, come invece succedeva prima. È la svolta, quella
che Pansini chiama l’introduzione di un “nuovo umanesimo” nel
Cpt. E, anche dalle voci raccolte tra chi ci lavora, sembra che ora
il centro di Modena funzioni meglio e che il rapporto con gli ospiti
sia migliorato.
Cpt, quanto
mi costi?
Tra i tanti che
nei mesi scorsi ne hanno tessuto le lodi e cercato di attribuirsene
i meriti, il Cpt ha un ammiratore speciale. Il ministro per i
Rapporti con il Parlamento, il modenese Carlo Giovanardi, ha almeno
un paio di motivi per parlarne come del suo “gioiello”. Di fatti
di immigrazione il ministro parla volentieri, avendo contribuito,
anche se non compare il suo nome nella legge, alla preparazione
della Bossi- Fini. E poi c’è quella coincidenza, per alcuni un
po’ imbarazzante che vede l’associazione di cui è presidente il
fratello Daniele, la Misericordia, aver vinto un appalto di un
milione e 379 mila euro all’anno per la gestione del Cpt modenese.
Caro al
ministro, il centro di Modena è un gioiellino per molte ragioni.
Senza problemi di sovraffollamento (sono solo 60 i posti) e di
eccessivo calore (c’è l’aria condizionata) - su una cosa, di
certo, il ministro non sbaglia - il centro di Modena è raro. Un
gioiello. Ma perché
costa tanto. Più di sette miliardi della vecchie lire annui (3
milioni e 700 mila euro) sono i soldi che le casse dello Stato
devono sborsare per mantenere una struttura che riesce nei suoi
intenti solo per metà. Tra difficoltà e i tempi lunghi
d’identificazione, infatti, soltanto il 55% dei 600 clandestini
ospitati nel centro dalla sua apertura ad oggi sono stati
accompagnati alla frontiera. Il 20% è stato rimesso in libertà
dopo il processo, mentre il restante 25% semplicemente fatto uscire
per decorrenza dei termini; in altre parole perché, al termine dei
60 giorni, le autorità sono state incapaci di dar loro un nome e
cognome. Come dire che
ogni espulsione costa più di 11 mila euro.
Ma
non è tutto. Le cose si complicano, perché, secondo le cifre
ufficiali della Prefettura, almeno la metà degli immigrati finora
ospitati all’interno della struttura modenese provengono da altre
città. La procedura, infatti, prevede che le questure delle città
in cui non esistono i Cpt o dove questi siano pieni provvedano a
trasferire i clandestini in stato di fermo nel centro a loro più
vicino. È così che a Modena confluiscono immigrati arrestati non
solo nella vicine Parma e Reggio, ma anche a Brescia (il Cpt di
Milano è sempre pieno), Mantova, Pordenone, Pistoia, Grosseto,
Genova, Torino e Aosta. Cade, in questo modo, l’efficacia di un
centro come questo nella lotta al crimine cittadino. Infatti, se è
vero quel che afferma Pansini, e cioè che il 95% dei
“trattenuti” nel Cpt modenese sono ex detenuti o appartengono in
qualche modo al mondo dell’illegalità, significa che, se in
qualche cosa è efficace, il Cpt lo è nell’importare gente che ha
commesso reati nelle altre città, non riuscire ad identificarla nel
50% dei casi e, infine, rilasciarla nel territorio modenese.
Federica Valenti
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