“Mi scriva
l’equazione di caduta dei gravi”, chiede il professore. Nervoso,
l’allievo sbaglia il segno della formula. Il docente lancia allora
il libretto del ragazzo fuori dalla finestra: “Ora lo recuperi al
piano di sopra e torni il mese prossimo”.
Tramandate
oralmente da generazioni di studenti, le leggende metropolitane che
serpeggiano qua e là per l’Università di Bologna sono da sempre
fonte di terrore per le matricole e motivo di accese discussioni tra
una lezione e l’altra. Sono molti quelli che sarebbero disposti a
giurare sull’autenticità di queste storie, citando come fonti
testimonianze “attendibili” di imprecisati conoscenti, a cui
sarebbero state raccontate da altri amici ancora, e così via.
Passano così di bocca in bocca, si arricchiscono, percorrendo in
lungo e in largo gli atenei d’Italia. Sopravvivono, sempre e
comunque, nonostante la loro dubbia credibilità.
Questo,
ad esempio, è un “classico” prelevato da un esame di anatomia.
Lo studente fa scena muta a una domanda sugli organi genitali
femminili. Il professore, con disprezzo: “Guardi, le do 20 mila
lire. Stasera vada a puttane e vedrà quante signorine le spiegano
volentieri queste cose”. Lo studente incassa e torna all’appello
successivo. Dopo aver conquistato un sofferto 18 e firmato lo
statino, gli consegna 10 mila lire, commentando: “Sua moglie
prende di meno”.
In
altri casi è la sfortuna a farla da padrone. Si narra che a
conclusione di un drammatico esame di Fisica I, uno studente,
liquidato con un misero diciotto, abbia salutato il professore con
il fatidico gesto dell’ombrello. Ebbene, chi mai avrebbe potuto
immaginare che quello stesso docente, l’anno successivo, sarebbe
stato assegnato al corso di Fisica II?
L’ambiente
umanistico non è comunque da meno. Si dice infatti che l’eminente
quanto terribile docente di Lingua e letteratura latina, Alfonso
Traina, usasse gettare direttamente dalla finestra il libretto delle
matricole che non avessero frequentato il liceo classico. Oppure,
sempre all’esame di latino, famosa è la storia della studentessa
che si presenta in minigonna e super truccata di fronte al docente.
Il vecchio professore, dopo averla squadrata, le offre una sigaretta
e chiede: “Cosa disse Enea scappando dalla sua città in
fiamme?”. Accesasi la sigaretta, la ragazza non conosce la
risposta. Il docente la boccia su due piedi: “Addio, mia bella
Troia fumante”.
Leggende
universitarie come queste si incontrano in ogni ateneo italiano,
sono raccontate in centinaia di versioni differenti e presentano
nondimeno alcuni luoghi comuni facilmente riconoscibili. Il docente
con il quale si deve sostenere l’esame, ad esempio, è quasi
sempre terribile, di un sadismo ai limiti del grottesco.
Esame
di meccanica razionale: il professore (che si è appena fatto
portare la colazione) lancia in aria un bombolone e chiede al
candidato di esaminarne il moto. Oppure, all’esame di Biologia:
“Signorina, è in grado di dirmi quale organo dei mammiferi
riesce, una volta eccitato, a raggiungere dimensioni pari a sei
volte le dimensioni dell’organo a riposo?”. La ragazza,
arrossendo terribilmente: “Non saprei…”. “Su, pensi alla
vita di tutti i giorni!”. “Beh, è forse il pene?”.
Nell’aula scoppia un boato. Il professore, calmissimo:
“Complimenti a lei e al suo fidanzato, signorina. Comunque
l’organo è la pupilla”.
Per
contro, molte volte è lo studente che riesce ad avere la meglio
grazie alla propria furbizia e intraprendenza. Come in questo caso.
Il professore alcolizzato congeda un ragazzo con 28 e si accascia
sulla cattedra, appisolandosi. Lo studente successivo, che deve
sostenere l’esame, non osa svegliarlo e attende. Svegliatosi di
colpo, il professore lo vede seduto di fronte a sé e dice: “Ehm,
avevamo detto 28… le va bene?”. “Mmm, sì, lo accetto…”.
Ancora,
all’esame di filosofia: “Giovanotto, mi dimostri che queste
chiavi sono mie”. Lo studente non sa che rispondere, tira in ballo
Aristotele, arranca su nomi e concetti astrusi. “Se ne vada – lo
liquida il docente – torni al prossimo appello”. Il ragazzo fa
per andarsene e nell’alzarsi si porta via le chiavi. “Ma cosa fa
– lo apostrofa il professore – Dove va con le mie chiavi?”.
“Ah, ecco dimostrato che sono sue!”. Promosso.
Sconce,
sboccate, goliardiche. Le leggende metropolitane sono comunque
figlie del tempo che le vede nascere. Gli anni della contestazione
studentesca, a Bologna, hanno dato un grande contribuito al fiorire
di queste storie. Altre volte, si attaccano al nome di un professore
famoso per avere la bocciatura facile. Come quelle attribuite al
professor Traina, o queste, relative al titolare della cattedra di
analisi matematica della facoltà di Ingegneria, Enrico Obrecht, a
cui avrebbero bruciato l’automobile (con il cane dentro) dopo che
aveva promosso solo dieci persone su quattrocento. Niente da dire.
E’ un personaggio leggendario, questo Obrecht. Secondo un altro
mito, era solito usare tutte e due le mani per scrivere alla
lavagna: a sinistra la formula, a destra il testo. Nel mentre,
ovviamente, la spiegazione orale. Tutto nello stesso tempo.
Impossibile
seguire le lezioni, pressoché inutile studiare. Se la bocciatura
deve arrivare arriva, ingiusta e inaspettata. Per contro, la
promozione all’esame non è quasi mai frutto di nottate passate
sui libri. Se una morale può essere tratta da queste leggende, è
che in sede d’esame la prontezza di spirito ha un’importanza
decisiva.
Lo
studente siede di fronte alla commissione esaminatrice.
L’arrogante professore lo guarda con sufficienza e dice
all’assistente: “Portate una balla di fieno per l’asino”. Lo
studente: “Per me un caffè, grazie!” Il risultato? Promosso,
naturalmente.
Alessandro De Michele |