Forgacs, l'archeologo delle immagini

 

“Se un alieno venisse sulla terra e dovesse esprimere un’analisi dell’essere umano a partire dalle immagini prodotte da registi amatoriali, direbbe che l’uomo è sempre, banalmente, felice. Nella mia esperienza di collezionista e archivista ho potuto constatare è che gli uomini tendono a conservare solo le cose che li hanno resi felici, ed hanno un tabù per il dolore”. 

Chi parla è Peter Forgacs, regista ungherese che crea i suoi film utilizzando immagini amatoriali prodotte nel corso del novecento da cineoperatori non professionisti. In un seminario presso la cineteca di Bologna, organizzato dall’associazione Home Movies, Forgacs ha incontrato studenti e appassionati ed potuto concludere la rassegna “Private Europe” dedicata ai suoi film. Il lavoro di questo regista, che si definisce “archeologo visuale”,  si situa al confine tra arte, storia sociale e psicologia. Il risultato finale vuole essere una sorta di “arte antropologica”. Nei suoi film infatti  riesce a dare un’interpretazione delle passioni, delle emozioni e degli istinti che muovevano quelli che lui chiama “gli eroi della documentazione amatoriale”. 

La grande differenza che intercorre fra un film d’autore e un film amatoriale è che il primo ha come obiettivo l’essere visto da un pubblico vasto. Il secondo invece è, nelle intenzioni del suo autore, realizzato per un pubblico ristretto. “Il regista amatoriale, lo dice la parola stessa, fa film perché ama ciò che filma. Caratteristica comune a tutti i filmati amatoriali è la forma diaristica”. Ma mentre il diario scritto passa attraverso la selezione dell’autore, il film  riesce ad esprimere e a conservare in maniera più completa il segno dei tempi e il contesto storico. Nell’epoca che precedeva l’arrivo della televisione e l’invenzione delle telecamere a nastro magnetico, si usavano pellicole cinematografiche. Un rullo da tre minuti poteva costare anche 7 dollari. I cineamatori d’epoca erano costretti quindi, dato il costo elevato dei materiali, a selezionare solo le cose che per loro erano fondamentali. Per cui sulle loro pellicole rimangono impressionati solo gli eventi percepiti all’epoca come veramente importanti. Oggi invece la tecnica del digitale ci permette di filmare tutto, dato il basso costo dei supporti, e questo porta ad un eccesso di documentazione privata.

 “Ventuno anni fa- dice Forgacs- ho creato a Budapest una fondazione che raccoglie foto e film privati. Questa collezione è sia fonte dei miei film ma anche l’obiettivo del mio lavoro”. Una attività che lo porta a cercare nelle cantine di antichi registi autodidatti immagini inedite, e parti di passato dimenticate dalla storia ufficiale. “Questa continua ricerca, di cui mi sento completamente assuefatto, mi porta spesso alla schizofrenia, per cui cerco di seguire contemporaneamente tutti i filmati e le storie private che mi passano sotto mano. A volte ad esempio mi trovo immerso nella seconda guerra mondiale e allo stesso tempo alle prese con una famiglia degli anni cinquanta”. 

L’operazione principale che compie Forgacs è una continua ricontestualizzazione dei filmati raccolti. Perché non basta il montaggio in sequenza delle immagini girate da altri, occorre una coscienza profonda dei contesti storici e sociali all’interno dei quali agivano i suoi cameraman non professionisti. E occorre la capacità di raccontare anche la vita pubblica che circondava la vita privata dei protagonisti. Come nel caso del grande affresco familiare “Barthos family”. Qui la ricerca di Forgacs si addentra nella vita dell’imprenditore e compositore ungherese Zoltan Barthos. Mentre la storia pubblica racconta le tragedie subite dal popolo ungherese, come la depressione del ’29 o i bombardamenti della II guerra mondiale, i filmati girati dal figlio di Barthos ci danno una cronaca familiare scandita da giochi, vacanze e lavoro. “Barthos family” diventa una specie di romanzo familiare e contemporaneamente “una seduta di psicanalisi di gruppo, di psicanalisi artistica del passato del paese”. 

Altre volte i lavori di Forgacs vogliono contribuire a sollevare dibattiti su personaggi ed eventi storici ormai considerati come “non rivedibili”. Esempio di questo modo di lavorare è il documentario “Angelo’s film”, storia di un conservatore e realista greco, che si oppone all’occupazione nazista del suo paese. In questo caso, il  documento privato, segnato dalla nascita e dalla vita della figlia del cineamatore, collide con il documento storico girato a rischio della vita dallo stesso Angelo, che riprende le atrocità commesse dalle forze nemiche. Le immagini degli eccidi, delle torture e delle fosse comuni diventano testimonianza di bruta violenza e allo stesso tempo segnalano il coraggio di un cineamatore che consegnerà al processo di Norimberga i materiali da lui raccolti.

Forgacs è convinto che la voglia di riprendere risponde ad un preciso bisogno antropologico dell’uomo. “L’esperienza del dolore e della morte va in qualche modo esorcizzata - afferma- Quando un giorno non ci saremo più, comunque continueremo ad esistere nei filmati e nelle foto che ci hanno ripreso o che abbiamo realizzato. E’ un bisogno di eternità quello che ci porta a riprendere le nostre vite. E’ l’illusione che i posteri guardando le nostre immagini sappiano della nostra esistenza su questa terra”. 

Luca Rosini

Nella foto: un fotogramma 
del film "Either-Or" di Forgacs

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