“Guarda
come hanno ridotto la mia casa e il mio panorama. Prima vedevo fino
alla moschea di Al Aqsa, ora vedo solo un muro di cemento armato.
Verrò circondato su entrambi i lati. La barriera mi dividerà dal
resto della mia famiglia”.
Mohamed è palestinese e vive a Gerusalemme. La sua casa si trova a
ridosso della linea difensiva che il governo israeliano ha deciso di costruire per proteggere la città dagli attacchi dei
terroristi. Mohamed era un muratore, lavorava per ditte israeliane.
Da quando è cominciata la seconda intifada non può più spostarsi
e ha perso il lavoro. Ora passa il suo tempo sdraiato su una branda
davanti casa, a godersi le ultime ore del suo panorama, prima che un
muro alto otto metri glielo porti via.
Negli
ultimi 3 anni i check point israeliani hanno fortemente limitato il
movimento di persone e rifornimenti alimentari tra i territori
palestinesi. Le popolazioni arabe vivono frammentate in comunità e
villaggi separati tra loro da 205 colonie ebraiche. Secondo la Banca
Mondiale, il nuovo muro sta annettendo ad Israele i terreni più
fertili ( quasi il 10% della Cisgiordania) e sta isolando 300 mila
palestinesi. Quando la barriera difensiva sarà completata, la
Palestina verrà suddivisa in 16 piccole entità. Nessuna avrà le
risorse per sostenersi da sola. “La Palestina non è un paese in
via di sviluppo, come molti credono” dice Laura Maritano,
cooperante del GVC di Bologna. “Questo paese a causa dei blocchi
israeliani è diventato un paese in via di sottosviluppo”.
La comunità internazionale ha più
volte criticato la politica israeliana che non facilita il processo
di pace e che strozza l’economia palestinese. Molti sono i governi
del mondo che hanno cercato di intervenire per limitare i danni
sociali e umanitari del conflitto. Negli ultimi anni anche la Regione Emilia Romagna
si è impegnata nell'area sostenendo le popolazioni palestinesi attraverso lo strumento della
cooperazione decentrata. Organizzazioni non governative ed enti
locali italiani e palestinesi collaborano per realizzare progetti di
sviluppo disegnati sulle esigenze del territorio.
Dieci sono i progetti avviati nel 2003, con il
supporto finanziario di 500 mila euro da parte della Regione. Ne
abbiamo visitati alcuni.
A Hebron il GVC
(Gruppo di Volontariato Civile) di Bologna, con il supporto delle
Province di Ferrara, Forlì e Cesena, aiuta i contadini e i pastori
palestinesi ad ottenere l’autosufficienza
alimentare. Sul campo cooperano con un’associazione di contadini e
pastori. “La nostra organizzazione si occupa di sviluppo rurale”
dice Fuad Absir dell’Unione delle comunità agricole “Grazie al
finanziamento della regione Emilia Romagna aiutiamo le popolazioni
rimaste isolate nelle campagne a raggiungere l'autosussistenza. In
alcuni villaggi abbiamo fornito sementi e sistemi per
l’irrigazione. In altri l’intervento si è concentrato sul dono
di alcune capre”. Una donna del
villaggio ci spiega come è andata: “Mi hanno dato due capre,
hanno partorito e adesso ne ho cinque. Devo aspettare che crescano
per potere prendere il latte dalle madri. Ma fra poco avrò la
possibilità di produrre formaggio da vendere al mercato”.
E'
sulle donne palestinesi che cade il peso più grande della
povertà. Se il marito non lavora, la moglie
deve comunque portare a casa il cibo per i figli. La Regione
Emilia-Romagna sostiene le donne palestinesi con un programma
integrato: il piano donna palestina. “Si tratta di un piano
multisettoriale – spiega Elena Zambelli dell’associazione
Orlando di Bologna - Da un lato vogliamo aiutare le donne a
raggiungere l’indipendenza economica. Dall’altro cerchiamo di
dargli strumenti culturali ed educativi per sostenerle nella loro
agenda politica”. Ad
esempio a Deir J’reer, vicino a Ramallah, l’associazione Orlando coopera
con un centro femminile che lavora per migliorare le competenze
professionali delle donne, attraverso la formazione all’utilizzo
del computer e di internet. Huda è una delle associate. La sua
famiglia vive dispersa tra la West Bank e
il Libano. Per lei è indispensabile avere mezzi di
comunicazione efficaci: “Abbiamo bisogno di contatti col mondo-
dice Huda- Non possiamo restare isolati. Internet ci serve per
comunicare con i nostri parenti. Inoltre grazie al computer possiamo
imparare nuovi lavori”.
Orlando interviene anche a Ramallah, capitale provvisoria
dell’autorità palestinese. Il progetto sostiene le donne di un centro sociale per lo
sviluppo. In questo caso si è creata un’opportunità lavorativa
attraverso il ricamo, con corsi di formazione e l’acquisto di
macchine da cucire.
I
giovani sono al centro dell’intervento realizzato
dall’associazione Peace Games a Hebron. Qui si è investito nello
sport, con la ristrutturazione dei campi di basket e calcio del
circolo sportivo locale e con
la preparazione di allenatori sportivi. “Il conflitto disgrega le
famiglie e colpisce il sistema di valori dei giovani. – dice Maria
Dusatti di Peace Games - Attraverso lo sport si possono dare regole
e sostenere i ragazzi nella ricerca di disciplina. A Hebron
c’è una lunga tradizione sportiva. Abbiamo deciso allora di
formare due squadre di basket e due di calcio, permettendo a giovani
dai 15 ai 25 anni di allenarsi, anche se i coprifuoco spesso
impediscono i movimenti dei ragazzi”.
Assieme
ai giovani, in una situazione di conflitto sono i bambini le vittime
più indifese. Negli interventi educativi rivolti all’infanzia si
cerca di creare le condizioni per lo sviluppo armonioso della
persona e di costruire oasi di serenità.
L’Arci interviene nel centro
sociale femminile del campo profughi di Shu’fat. Qui è nata una
ludoteca e sono state formate alcune maestre che lavorano con i
bambini.
“Il progetto si è sviluppato
su richiesta delle donne del campo che volevano un sostegno
nell’educazione dei bambini - dice Ada Lonni dell’Arci –
Abbiamo pensato di fornirgli una Toys Library, una libreria di
giocattoli. I bambini ci vanno nei momenti liberi, così evitiamo
che vaghino nella polvere e nell’immondizia”.
Il campo di Shu’fat è a Gerusalemme ovest ed è abitato dai
profughi palestinesi fuggiti dalle terre occupate nel 1967 da
Israele durante la guerra dei sei giorni. Con gli anni e i conflitti
ai primi ospiti si sono aggiunti migliaia di disperati alla ricerca
di assistenza. Oggi nel campo, che è amministrato dalle Nazioni
Unite, vivono 20.000 persone. Tutte aspettano di tornare nelle loro
case a Jerico a Hebron o nelle campagne intorno. Ma tutti si sono
adeguati a vivere in condizioni precarie e al limite della
sopravvivenza. Il campo è circondato da 5 colonie. Non potendo
costruire nuove abitazioni, i
palestinesi si sono adeguati e ogni tanto aggiungono nuovi piani ai
palazzi in cemento armato, che rischiano di crollare perché nati
senza fondamenta. “L’area del campo è molto piccola. – dice
Rani Arafat, direttrice del Centro sociale di Shu’fat - per cui in ogni casa vivono fino a venti persone. Poi abbiamo il problema
dell’acqua. Ogni tanto l’Onu non paga la bolletta e rimaniamo
senza”.
Per coordinare le
attività e i progetti delle sue associazioni in Palestina, la
Regione Emilia Romagna ha aperto a Gerusalemme una sede
distaccata per la cooperazione.
L’ufficio, che è ospitato
all’interno del Consolato Italiano, è stato inaugurato dal
Console Nicola Manduzio e da Gianluca Borghi, Assessore alle
politiche sociali della Regione Emilia-Romagna. Svolgerà funzioni
di supporto alle missioni internazionali dei funzionari e lavorerà
per il sostegno alle associazioni israeliane e palestinesi che
collaborano per mantenere il dialogo. “Sono ormai alcuni anni che
gli enti locali, le associazioni e le ONG emiliano romagnole
lavorano in Palestina in progetti di sviluppo e di aiuto umanitario.
- dice Borghi - Con la presenza di un ufficio a Gerusalemme la Regione
Emilia-Romagna vuole contribuire materialmente al processo di pace
ed essere più vicina al popolo palestinese". Un popolo
composto da persone normali,
alle prese con una lotta quotidiana contro le limitazioni e i
controlli imposti dalla politica difensiva israeliana. "Il muro
che Israele sta costruendo è un ulteriore ostacolo al processo di
pace. - sostiene Borghi- Penso che la Regione Emilia Romagna debba
impegnarsi in ogni sede, europea e internazionale, per convincere il
governo israeliano a non portare a compimento quest'opera di
separazione".
Luca Rosini
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