La storia di Kamal,
per due volte nell'inferno del Cpt

 

Da quando è arrivato in Italia nel 1994, Kamal, operaio palestinese di 34 anni, non è riuscito ancora a trovare una casa a Bologna. Per un paio di mesi ha vissuto in una villa a Medicina ospite insieme ad altri manovali, del suo datore di lavoro. Subito dopo, un lungo periodo passato da amici ad Anzola e San Giovanni in Persiceto, e poi tante notti trascorse al freddo per strada o nei vari dormitori pubblici.
Ma nonostante la sua storia da nomade, c’è un posto a Bologna in cui Kamal ha vissuto a lungo: il Cpt di via Mattei.
E’ da quasi un anno infatti che Kamal entra ed esce dalle “gabbie” del centro di permanenza temporanea. Se non fosse per le sbarre alle finestre e il filo spinato che circonda le mura di recinsione, i locali delle ex caserme “Casarini” sarebbero anche un bel posto in cui vivere, con sullo sfondo immensi campi di grano che contornano il lungo stradone che collega il quartiere San Vitale a Castenaso. Un paesaggio bucolico che però più che con nostalgia, Kamal ricorda con rabbia, con molta rabbia. Perché lui, cittadino palestinese con passaporto libanese, con alle spalle 5 anni di carcere per spaccio di droga, dentro quelle stanze dice di aver passato il più brutto periodo della sua vita: centoventi giorni, da luglio fino a gennaio con una breve pausa in ottobre, che sono stati un vero e proprio calvario. 

 

COME IN UN LAGER

“La prima volta che mi hanno portato in via Mattei – ricorda Kamal due giorni dopo la scadenza del suo secondo fermo – è stata la scorsa estate. Lavoravo in nero come manovale in un’impresa di Imola. In poche ore ho perso il lavoro e mi sono ritrovato rinchiuso in una specie di carcere, con tanto di finestre sbarrate e telecamere che mi sorvegliavano giorno e notte, solo perché non avevo il permesso di soggiorno”. Da quella mattina di luglio per Kamal sono iniziati i primi sessanta giorni da incubo. “Le giornate lì dentro non passano mai –rivela l’operaio palestinese -. Appena arrivi ti consegnano un asciugamano e una tuta e ti assegnano in una stanza con altre cinque persone. Le finestre sono sbarrate e non c’è modo di aprirle. Sia d’estate che d’inverno sembra di vivere in un forno senz’aria, ammassati in pochi metri come delle bestie”. L’unico momento di socializzazione sembra essere quello della mensa, anche se anche in quel frangente i problemi non mancano. “A pranzo ci danno quasi sempre della pasta e una volta a settimana carne e formaggio, ma è arriva quasi tutto freddo –dice Kamal -. Il pane poi delle volte sembra plastica. Molti si rifiutano di mangiare e restano a pancia vuota per intere giornate”. Un problema, quello della qualità del cibo offerto, che lo scorso 25 marzo è stata la scintilla che ha fatto scoppiare l’ennesima rivolta degli “ospiti” del Cpt, e che ha portato alla fuga 16 clandestini. Kamal quel giorno era in via Mattei. Non è scappato solo perché quarantotto ore dopo per lui le porte del centro si sarebbero comunque aperte per la fine del suo fermo amministrativo, che secondo quanto prevede la legge Bossi-Fini, è fissato in sessanta giorni. 

 

LA RIVOLTA PER IL CIBO

“Quel pomeriggio molti miei compagni sono saliti sulla tettoia per protestare contro il pranzo che ci era stato dato – racconta Kamal -. Tre persone hanno cercato di scavalcare il primo muro di recinsione ma sono state fermate della polizia che li ha subito bloccati. Quando sono ritornati nelle “gabbie” però avevano botte su tutto il corpo, e a quel punto è scoppiata la nostra rabbia”. Una ribellione in piena regola che ha portato 16 persone ad arrampicarsi sul filo spinato e trovare la fuga nei campi che circondano via Mattei. “Per fortuna sono uscito poche ore dopo – continua Kamal -. Il clima quando sono andato via non era certo dei migliori. La polizia è entrata nei nostri alloggi durante la notte e ha rovistato dappertutto”. Per Kamal, che adesso è di nuovo fuori, i giorni passati al Cpt sono solo un ricordo, ma l’operaio palestinese è consapevole che la sua libertà potrebbe finire  da un momento all’altro. “Io ci ho provato a chiedere ai miei datori di lavoro di mettermi in regola – denuncia – ma nessuno è disposto ad offrirti un contratto. Un imprenditore mi ha addirittura chiesto 3000 euro in cambio. A queste condizioni se voglio rimanere qui a Bologna, sarò costretto a vivere da clandestino per sempre. Anche se la cosa che mi fa più paura adesso è ritornare al Cpt. In quell’inferno non so se potrei resistere ancora un altro giorno”.

Massimiliano Papasso

La protesta dei Disobbedienti davanti al Cpt di via Mattei

 

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