Una divisa portata con orgoglio
C'erano delle linee
che avevano un soprannome. La Bologna-Modena era la linea
"rossa", perché gli autisti, una volta arrivati a Modena,
avevano tre-quattro ore di pausa prima di ripartire, e così
andavano sempre in un cinema a luci rosse vicino all'autostazione. I
numeri degli autobus, quelli che per la gente comune erano solo
numeri, per loro andavano a comporre una cabala: 13, 11, 20, 27 le
linee preferite, linee lunghe, che scorrevano via verso la
periferia, insieme alle "nottissime", il 61 e il 62, che
già facevano servizio notturno. "E poi c'erano le linee
"sfigate" - precisa subito Aurelio, 55 anni, da 30 in Atc
- quelle che andavano in Certosa, passando per gli ospedali, e alle
fermate caricavano e scaricavano soprattutto vecchietti,
o vedove con i fiori in mano per il marito. Nel 38 e 39 non c'è mai
stato verso di incontrare una bella ragazza! Solo una volta, è
salita una bionda, e sembrava un miracolo: infatti è scesa alla
fermata successiva, perché aveva sbagliato autobus".
Un lavoro
privilegiato, quello di autista, fino agli anni '80: niente stress,
stipendio buono, solidarietà tra colleghi e familiarità coi
passeggeri «Che non si lamentavano nevroticamente come fanno oggi,
avevano un grande rispetto per noi, salutavano sempre, salivano in
autobus sorridenti. Ora hanno il muso lungo già di prima mattina, e
solo a guardarli, quando faccio il turno delle 5, mi viene la
depressione». «A Natale c'era sempre qualcuno che ci portava una
fetta di panettone - prosegue Carlo, ormai prossimo alla pensione -
e per Capodanno fermavamo tutti gli autobus in piazza Maggiore per
brindare in mezzo alla gente».
Gli autisti
"extra-urbani" avevano i turni spezzati: levataccia al
mattino per venire dalla montagna e dai paesi dell'entroterra, e
tanto tempo libero prima di riportare a casa i lavoratori. Quelli
che venivano giù da San Benedetto Val di Sembro, arrivavano a
Bologna alle 8 del mattino, e ripartivano per San Benedetto alle 17.
Nelle lunghissime 9 ore di "intervallo" tra un turno e
l'altro, giocavano a carte o a biliardo al circolo di Via San
Felice. «Veri e propri tornei, che duravano mesi; ma anche pranzi,
tavolate». E c'era chi, per non annoiarsi, si era fatto l'amante:
pare che Giovanni, morto qualche anno fa, avesse proprio una doppia
vita. «Due donne, due case (quella vera, a Monterenzio, e il
"trespolo" a Bologna, in via del Pratello) e anche una
doppia personalità. Quando stava in montagna, con la moglie e i
figli, era tutto casa e chiesa; veniva a Bologna, e si trasformava:
cambiava accento, modo di atteggiarsi, e andava alla Standa a
trovare la sua amante, la Rosi. Capelli rossi, sempre coi tacchi,
gran bella donna. Lui ci aveva proprio perso la testa, credo sia
durata 10 anni».
Gli autisti e le
commesse. Un amore a prima vista consumato nello specchietto
retrovisore, complici anche i turni particolari delle commesse «Erano
le uniche che prendevano l'autobus quattro volte al giorno grazie
alla pausa pranzo, così avevamo molte più occasioni di incontrarle
rispetto alle operaie e alle infermiere. Quando non era ancora
vietato parlare all'autista, una ragazza carina che si avvicinava a
scambiare quattro chiacchiere c'era sempre». Non solo ragazze. «A
tutti noi, negli anni '70, è capitato di essere corteggiati da
Andrea, un transessuale che per gli autisti giovani aveva una vera e
propria passione, e infatti saliva e scendeva da una linea
all'altra, in cerca di compagnia». Erano anche gli anni
dell'Austerity e le domeniche gli autobus erano sempre stracarichi
«per noi autisti era uno spasso portare in giro le famiglie, mamma
nonno nonna zia, tra urla, schiamazzi e risate».
Ma non ci sono solo
episodi piacevoli, nell'archivio dei ricordi di Carlo e Aurelio.
C'è anche il ricordo della strage di Bologna «un autobus, coperto
di lenzuoli bianchi, era stato precettato e faceva la spola tra la
stazione e l'istituto di medicina legale di via Irnerio, dove
venivano portati i cadaveri». Tra gli autisti che erano in servizio
il 2 agosto dell'80, c'è stato chi, per lo choc, ha dovuto cambiare
lavoro «Si chiamava Silvano, e il 2 agosto è stato precettato e ha
guidato l'autobus per 8 ore di seguito, ammutolito, senza mai
fermarsi; l'odore dei cadaveri gli è rimasto "nel naso"
per mesi, e poi il ricordo del sangue, dei corpi ammassati. Dalla
stazione a via Irnerio, da via Irnerio alla stazione, così per 100
volte, e tutt'intorno volti angosciati, ambulanze. Non ce l'ha
fatta, Silvano, e ha cambiato lavoro».
Aurelio da bambino
compiva sorpassi azzardati nel cortiletto di casa, voleva fare il
tranviere e giocava con un volante sempre in mano. E' entrato in Atc
nel 1973 «Tra il '73 e il '75 in Atc entrammo in 1000, tutti
giovani, perché c'era il limite d'età a 30 anni. Facevamo
baldoria, era un divertimento andare a lavorare». Gira e rigira, si
ritorna alle donne. «A prendere le operaie della Magli, alle 17 in
punto, ci si andava con tre o quattro autobus, tutti numeri
"bis" e "tris", per trasportarle tutte. Si
scherzava, la stanchezza con quelle ragazzotte che cantavano non la
sentivamo mica, sembrava di stare in balera». Qualcuno invece, a
fare l'autista, si è ritrovato per caso. «Sono entrato in Atc
nell'88 - racconta Claudio - ho fatto il concorso solo per far
compagnia ad altri 8 amici, e l'ho superato. Così mi sono ritrovato
in divisa, per caso. Erano altri tempi, all'epoca in fabbrica si
prendevano 1.200.000 lire, mentre in Atc lo stipendio era di
1.600.000 lire». «Una bella differenza - prosegue Claudio - ci
sentivamo privilegiati rispetto ai nostri coetanei, e avevamo
l'orgoglio di indossare la divisa».
Patrizia Usai
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