Ormai si è
felicemente stabilita nel nostro paese. Quattordici anni dopo il suo
sbarco, la zanzara tigre si può considerare italiana a tutti gli
effetti. Si diverte a movimentare le giornate estive di chi le
capita a tiro, pungendolo e provocando grosse bolle rosse e
pruriginose. A differenza delle zanzare comuni, la zanzara esotica
colpisce di giorno. E attacca in massa. Così, se qualche insetto
finisce spiaccicato sotto una mano esasperata, un’altro riesce
comunque a farla franca. Per riprodursi ha bisogno di un po’ d’acqua
in un sottovaso o in una lattina abbandonata. Lì depone le uova, che
superano l’inverno, si sviluppano e producono nuove generazioni
pronte a moltiplicarsi a ritmi vertiginosi nei mesi caldi e umidi.
L’Aedes albopictus- questo il nome scientifico- si riconosce
dalle righe bianche e nere del corpo e delle zampe. È così
aggressiva che in certe aree infestate i Comuni spendono ogni anno
un bel po’ di euro per tenerla sotto controllo.
La vicenda italiana
della “tigre” comincia nell’autunno del 1990, quando viene segnalata
per la prima volta a Genova, città di mare, di navi e soprattutto di
traffici. Un anno dopo viene ritrovata a Padova. Da lì si diffonde
in tutto il Veneto, in Emilia Romagna e nel resto del centro nord.
Viaggia (allo stadio di uova) dentro i pneumatici usati – l’Italia
ne importa centinaia di tonnellate ogni anno. Così è probabilmente
arrivata negli Stati Uniti, e così ha attraversato l’Atlantico,
arrivando a Padova, fino a un paio di ditte di copertoni. Da lì è
stata smistata in vari paesi della pianura padana, sempre grazie al
commercio di pneumatici usati. L’origine americana dell’infestazione
è stata dimostrata nel 1992, quando in una partita di gomme
proveniente da Atlanta sono state trovate le uova della
rompiscatole. Allora non c’erano controlli sanitari sistematici su
queste merci. “E ancora
oggi non c’è nessuna regolamentazione comunitaria o nazionale sui
pneumatici usati” spiega Roberto Romi, dell’Istituto superiore di
sanità. Romi ha seguito l’infestazione della zanzara tigre in Italia
sin dal 1990 e ha sostanzialmente scritto le linee guida per il suo
controllo, quelle poi diffuse alle varie strutture sul
territorio.
Tra il 1991 e il 1993
si muove qualcosa: il Ministero della Sanità invita le Usl a “una
attenta vigilanza con l’obiettivo di colpire i focolai iniziali di
Aedes”. Le
autorità sanitarie spingono verso l’eradicazione dell’animale
principalmente per due motivi. Prima di tutto la zanzara tigre può
trasportare virus che causano alcuni tipi di febbri ed encefaliti.
Per fortuna questi virus in Italia non sono presenti, ma comunque
sarebbe meglio eliminare la zanzara che ne è il vettore. Anche
perché con il cambiamento climatico e la globalizzazione, con
l’aumento dei flussi migratori, dello spostamento di migliaia di
persone da un continente a un altro, il problema difficilmente
migliorerà spontaneamente.
Più semplicemente, un buon motivo per combattere queste
zanzare è il fastidio che danno quando pungono.
Negli anni
immediatamente successivi alle prime segnalazioni, pur conoscendo la
provenienza dell’infestazione e come debellarla - ricerca attiva dei
focolai e loro distruzione - non si è comunque riusciti a eliminare
la zanzara. “Il problema è stato sottovalutato”, sostiene Romi. “Si
è intervenuto solo quando le persone hanno cominciato a lamentarsi
per le punture, ma a quel punto era troppo tardi: la zanzara aveva
avuto i 2-3 anni necessari al suo radicamento. E oggi non si può più
eliminare”. Un altro problema è stato prodotto dalla confusione
legislativa: “ Non si sapeva bene a chi affidare la profilassi:
toccava ai Comuni in quanto problema ambientale, o alle Unità
sanitarie locali, in quanto problema sanitario? Il palleggiamento di
responsabilità ha portato in certi casi a un ritardo negli
interventi”. C’è anche stata anche “una carenza di personale
competente e organizzazione”.
Secondo Romeo
Bellini, del Centro Agricoltura Ambiente, il consulente scientifico
per la Regione Emilia Romagna su questo tema, “le linee guida e il
coordinamento per la sorveglianza dei siti a rischio in Emilia
Romagna sono del’94-’95. Poi le Usl hanno impiegato un paio d’anni
per diventare attive”. Spiegazione di questi tempi lunghi: “il
problema era nuovo e le strutture non erano attrezzate per
affrontarlo. Per risolverlo si sarebbero dovute mettere in campo più
risorse e fare scelte più drastiche”.
In Emilia Romagna
ogni azienda sanitaria si è mossa a seconda della situazione e della
sensibilità al problema. Un caso particolare è quello di Cesena. Qui
l’azienda ha pensato di chiamare un entomologo, Claudio Venturelli,
per affrontare meglio i nuovi compiti. “Sarebbero stati necessari
più norme, più controlli (soprattutto sui copertoni importati) e più
fondi”, ribadisce Venturelli. “Il problema è stato sottovalutato”.
Altre Usl, secondo Bellini, avrebbero assunto un atteggiamento
“morbido”, lasciando che l’infestazione si diffondesse.
L’infestazione sarebbe così passata, per esempio, “da Casalecchio a
Bologna”.
Adesso che la guerra
per eliminare completamente la zanzara tigre è stata persa,
l’obiettivo è mantenerne bassa la densità. Ancora una volta le
iniziative sul territorio variano molto, anche solo limitandosi alla
sola Emilia Romagna.
A Bologna il problema si è presentato intorno
al 2000, “passato” dall’hinterland. “La zanzara tigre è un problema
nuovo, non c’era nessuno in Comune che se ne occupasse” dice
Giuseppe Cosenza, direttore del Settore Salute e Qualità della Vita
del Comune di Bologna. “Nel 2001 abbiamo organizzato per la prima
volta un tavolo tecnico che riunisse le competenze necessarie,
quelle del Comune, dell’Ausl, di Hera, delle Farmacie Comunali e di
Federfarma. Quest’anno è prevista una spesa di 1,5 milioni di euro,
in aumento rispetto all’anno scorso, e dal 2005, grazie
all’unificazione delle Usl della provincia di Bologna e
all’istituzione di un interlocutore unico, ci coordineremo con i
comuni limitrofi”.
L’intervento sul
suolo pubblico è stato affidato a Hera, mentre quello sui terreni
privati è affidato ai singoli cittadini. Il coinvolgimento dei
singoli, con l’adozione di procedure adeguate per eliminare
l’habitat favorevole all’Aedes (eliminare qualsiasi contenitore d’acqua
all’aperto, non abbandonare rifiuti che possano raccogliere acqua
piovana, pulire i tombini ed effettuare i trattamenti larvicidi,
inserire fili di rame nei contenitori che non si possono spostare e
pesci rossi nelle vasche) è l’aspetto più importante nella lotta
alla zanzara. “Cerchiamo il coinvolgimento del pubblico e quest’anno
abbiamo rafforzato la campagna d’informazione. L’anno scorso molte
persone non sono intervenute perché pensavano che non ci fosse
bisogno o perché pensavano che fosse compito dell’istituzione
pubblica”. Ancora una volta i larvicidi sono in vendita nelle
farmacie convenzionate a prezzi ridotti, mentre si cerca di limitare
al massimo gli interventi sugli adulti con gli insetticidi, molto
più tossici. Una novità di quest’anno è data dalle multe per chi non
effettua i trattamenti: “Ma spero che non ce ne sia bisogno” dice
Cosenza.
A Modena l’Usl ha
previsto su una parte del territorio un programma di monitoraggio,
che dovrebbe essere avviato entro l’estate. Se venissero trovati
larve o adulti, sono previsti interventi di disinfestazione. “Ma
mancano le forze sufficienti a controllare tutto il territorio” dice
il responsabile dell’ufficio di Igiene Pubblica, Andrea
Lambertini.
Nella provincia di
Rimini l’Usl, otto Comuni, la Provincia ed Hera si sono riuniti e
hanno concordato un programma di lotta. Hera è stata incaricata di
effettuare i trattamenti sul suolo pubblico, ma anche quelli nei
giardini e nei cortili privati. Gli addetti, che indossano una tuta
facilmente riconoscibile, suonano ai campanelli delle abitazioni e
vengono accolti nella stragrande maggioranza dei casi da persone ben
contente che qualcuno effetti gratuitamente i trattamenti
antizanzara. Questa iniziativa è stata presa dopo il parziale
insuccesso di una precedente esperienza in cui si regalava il
prodotto.
Programmi simili sono
stati avviati nella provincia di Reggio Emilia, di Ravenna, a Forlì,
dove si è puntato molto sulla campagna di comunicazione, e a Cesena,
dove invece viene regalato il larvicida ai privati che ne fanno
richiesta. Qualsiasi sia l’attività delle istituzioni pubbliche,
rimane fondamentale l’atteggiamento del singolo. Basta un focolaio
in un fosso, in un orto abbandonato, in un bidone di un cantiere per
vanificare i trattamenti effettuati nella zona. Cos’altro si può
fare per difendersi? All’esterno si possono usare i repellenti, per
le abitazioni sono utilissime le zanzariere, ancora poco diffuse in
Italia.
E riguardo al futuro?
Al Centro Agricoltura Ambiente si sperimentano per il trattamento
dei tombini stradali prodotti che durano 2-3 mesi, come il
pyriproxyfen. Questi larvicidi non comportano interventi settimanali
e di conseguenza riducono di molto il costo della mano d’opera. Un
filone di ricerca è dato dai trattamenti ormonali, che bloccano lo
sviluppo dell’insetto impedendogli di diventare adulto e di pungere.
Per le aree private si provano invece trappole che attirino le
femmine, le vere responsabili delle punture.
Un’altra
sperimentazione è condotta in collaborazione con Hera Rimini. Questa
estate, in alcuni luoghi ben definiti si pensa di rilasciare
nell’ambiente maschi sterilizzati con raggi gamma. Quando questi
insetti si accoppiano con le femmine normali, le uova prodotte di
fatto non si sviluppano. Una prova di questo tipo è stata già
effettuata a Desenzano del Garda.
Intanto l’Istituto superiore
di sanità ha lanciato l’allarme per un’altra zanzara che potrebbe
colonizzare l’Italia, l’Aedes aegypti, purtroppo molto simile
nell’aspetto alla zanzara tigre, e anch’essa potenziale portatrice
di virus. Un’avvertenza
finale: “Ora che la zanzara tigre si è italianizzata, si può solo
contenerne il numero e ottimizzare gli interventi di lotta. Ma si
deve imparare a convivere con questo insetto” dice Bellini.
Claudia
Grisanti |