Mosca 1987, tutto regolare. Le analisi su 2.000 bimbi nati dalle donne evacuate suonano
rassicuranti. Non c’è differenza tra i nati prima e
dopo quella notte del 26 aprile 1986, quando due reattori
infuocati avevano illuminato
una cittadina oscura nei pressi di Kiev.
A sud della Bielorussia, un furgoncino bianco
macina i chilometri. Sono passati 18 anni dall’incidente
di Chernobyl, il furgoncino attraversa le campagne
desolate del Brest, tritura la polvere contaminata. Un
ambulatorio mobile: è partito da Bologna due anni fa,
attrezzato per fare ecografie alla tiroide, e ha raccolto
dati per oltre un anno, su 3000 abitanti di questa regione
tra i 6 e i 22 anni. Dati freddi della malattia: 3
carcinoma, 974 gozzi diffusi, 93 gozzi nodulari, 71
tiroiditi croniche: totale 38% della popolazione malata di
tiroide. I medici italiani e quelli bielorussi lavorano
insieme per diagnosticare in tempo tumori nei più
giovani. Con l’ ambulatorio mobile di Legambiente, fanno
ponte tra Gomel, i villaggi dispersi su un territorio
grande quanto mezza Italia, e l' ospedale di Luninets. Il
lavoro dell’equipè di medici modenesi volge al termine,
così a fine anno, quando il sostegno di Legambiente e
della Regione Emilia Romagna si concluderà, i colleghi
bielorussi continueranno da soli l’opera di screening
sulla giovane popolazione bielorussa. Da soli si
gestiranno le attrezzature, i medicinali, il furgoncino
che per ora è in comodato d’uso, e le stesse competenze
acquisite nelle Ausl e nel policlinico di Modena.
“Non è stato facile”. Gianluigi Lio
coordinatore del progetto di sostegno per la Regione
Emilia Romagna, è stato in Bielorussia lo scorso
settembre, con il suo gruppo di medici e infermieri.
“Il
furgoncino ha girato per i villaggi, le scuole, gli
orfanotrofi – continua Lio – e la popolazione ha
sempre partecipato attivamente”. Infatti dal maggio 2002
ad aprile 2004 sono state effettuate in tutto 9786
ecografie, 166 prelievi citologici, e non è stato un
problema. Come non è stato un problema riuscire a
raccogliere i fondi, 130 mila euro per il furgone, poi 50
e ancora 30 mila euro necessari per portare a termine il
progetto entro quest’anno.
Il problema, piuttosto, è stato quello di
individuare referenti affidabili, come il “dirigente
illuminato dell’ospedale di Luninets, libero e
indipendente”. Libero cioè dai lacciuoli di
un’autorità centrale bielorussa profondamente estranea
all’iniziativa: il governo locale, continua Lio nel suo
racconto, è quello che ha liquidato l’opposizione e la
magistratura, che ha rimosso ufficialmente l’esistenza
di un’emergenza, che va al fiume e beve direttamente per
mostrare alla popolazione la bontà delle sue fonti
inquinate, che indica tuttora le nomine alla dirigenza
delle associazioni umanitarie bielorusse: distante e
troppo presente insieme. “Dovevamo stare attenti come e
con chi parlare – continua Lio - La nostra è stata una missione tecnica, ma senza
alcuna copertura politica, perché il governo italiano,
come del resto gli altri governi europei, non può avere alcun rapporto ufficiale con la
Bielorussia”. Lio racconta ancora dell’arretratezza,
di una popolazione con una alfabetizzazione elevata, ma
povera. Di un’economia agricola schiacciata a terra da
quella stessa terra uccisa dalle contaminazioni, di poche
strade e polverose, di
stufe a legna, di un reddito pro capite che tocca i 20
euro al mese.” Su un paese che per un quinto della sua superficie
è contaminato prima di iodio, poi di cesio, dove abitano
1 milione e 600 mila persone. “Per loro - conclude Lio - abbiamo ipotizzato che solo il 2% dei risultati
delle contaminazioni sia visibile, perché solo alcuni
metalli pesanti hanno esaurito la loro attività. Per gli
altri inquinanti bisognerà attendere ancora 30, 50, o 500
anni. Ed esiti, per ora, a noi sconosciuti”.
Giusy Arena
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